Non solo clavicembalista, ma anche direttore d'orchestra, scopritore di musiche perdute e riscopritore di tecniche antiche, insegnante; un artista a 360° che ha saputo ritagliarsi e mantenere un posto privilegiato sui colleghi filologi.
E' passato attraverso cinque decadi, mantenendo intatta la sua fedeltà alla musica, l'amore per il suo strumento; cinque decadi in cui ha suonato tanto, ha lasciato tante registrazioni ma ha soprattutto lasciato il ricordo di sè mentre suonava.
Lo ricorderò sempre seduto all'Antegnati o al clavicembalo a San Maurizio, qui a Milano ed anche all'organo Silbermann di Sant'Alessandro e all'Ahrend di San Simpliciano. L'ho ascoltato tante volte dal vivo e ora che è scomparso non posso che ritenerlo un privilegio.
All'epoca dell'integrale delle Cantate di J.S. Bach, portata a compimento insieme con Nikolaus Harnoncourt, c'era chi preferiva l'uno all'altro; ero di quelli ha preferiva sempre lui perché, rispetto a Harnoncourt, Leonhardt faceva musica in modo forse meno originale, ma certo semplice e fruibile, con accompagnamenti musicali mai stridenti e lasciando fluire la musica con leggerezza.
Scompare uno dei padri della filologia; uno che ha saputo far crescere tanti artisti (Dantone è stato suo allievo, per citarne uno), crescendo lui stesso in pari tempo.
Che riposi in pace.
Domenico
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