martedì 14 febbraio 2012

Dedicato ad un amico ...

... che altrove si chiede se si possa giudicare oggettivamente l' "estetica" del suono di un impianto o se sia esclusivamente una questione di gusto personale, come se si parlasse di un quadro o un mobile.
Siamo quindi in piena "filosofia della riproduzione", la stessa che ricorre da anni nelle menti più inquiete degli appassionati di audio. Sono sicuro che, prima o poi, tutti ci siamo posti quest'interrogativo. Qualcuno ha trovato una sua risposta e si è messo il cuore in pace, qualcuno non ancora. Mettetemi pure nella schiera dei secondi. Possiamo provare a parlarne qui, dove non ci sente nessuno, così il discorso resta confinato tra poche persone (principalmente il sottoscritto, direi).




Partiamo dai numeri: contano, eccome. Chi progetta un lettore CD, per esempio, cercherà di ottenere una determinata risposta in frequenza - magari la più piatta e regolare possibile -, un'impedenza  di uscita che garantisca un accoppiamento ottimale col preamplificatore, un'alimentazione sufficiente per tutti i componenti impiegati e via discorrendo.
Questo garantisce che il lettore funzionerà, nel senso che leggerà il CD e trasformerà in segnale elettrico ciò che il laser rileva. Un segnale elettrico che dovrebbe, secondo le misure, essere tonalmente corretto, nel senso che non privilegerà alcune frequenze rispetto ad altre. Ecco, questo (insieme con altre caratteristiche di affidabilità, marketing, ecc.) è quanto si richiede ad un lettore CD correttamente progettato e rispondente a quanto il mercato tipicamente richiederà.
Qualcuno, magari avvezzo ad ascoltare musica dal vivo ed a carpirne le caratteristiche qualitative (non parliamo di esecuzione ma del puro suono), un giorno si è accorto che non basta avere misure perfette per avvicinarsi alla realtà.
Non si tratta di gusti, quelli li lasciamo ai tifosi Rolex-IWC, tanto per fare un esempio.
Si tratta di caratteristiche ben precise e non misurabili, allo stato attuale. Per essere precisi, forse qualche misura esisterebbe ma è caduta nell'oblio. Vi ricordate lo slew rate, che misura la velocità del fronte di salita dei transienti? Passato di moda, eppure sembrerebbe essere utile per valutare quanto un amplificatore possa seguire la dinamica di un brano musicale.
Neanche questa misura è risolutiva ma utile si.

Quindi, in conclusione, affermerei che misure ben fatte ed esaustive possono dare un'idea del suono degli apparecchi ma si tratta di una pallida idea.
Il giudizio finale è sempre di chi ascolta e qui casca l'asino. Se vi piace girare per impianti, ascolterete un suono diverso per ogni abitazione dove vi recate. Ciò è normale ed è dovuto prima di tutto ai differenti ambienti e poi al fatto che ogni impianto è diverso dall'altro. Una cosa, però, deve saltare all'occhio di chi abbia un minimo di esperienza di ascolti di strumenti acustici veri: alcuni impianti sono allestiti da chi non ha la più pallida idea di come suoni un vero strumento, altri impianti sono evidentemente composti da persone con maggiore esperienza. Ci sono dei criteri oggettivi, malgrado una corrente di pensiero voglia sdoganare a tutti i costi l'idea del "my-fi". Difficile quantificarli o anche solo descriverli senza poter fare esempi pratici. A tal proposito sto studiando qualcosa, vediamo se riuscirò a metterla in pratica.
Tanti anni di esperienza di ascolti mi permettono di affermare senza tema di smentita che v'è spesso identità di vedute tra musicisti - soprattutto - ma anche tra persone che spesso si recano ai concerti. 
Mi si permetta quindi di dire chiaramente che molti criteri oggettivi esistono, è solo questione di imparare quali sono. Bisogna imparare ad ascoltare e non è sempre facile, senza una guida esperta.

 

4 commenti:

  1. Condivido perfettamente il discorso oggettivo/soggettivo, per anni con amici appassionati lo vado ripetendo.
    Sul discorso di "imparare" bisognerebbe aver prima l'umiltà di accettare di non sapere Tutto.
    E al mondo siamo tutti nati imparati!
    Un cordiale saluto

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  2. Si, l'annosa questione tra le misure e l'ascolto è destinata, se possibile, a incancrenirsi ancora di più.

    Si tratta di due ambiti diversi, che solo parzialmente sconfinano l'uno nell'altro.

    A giudicare un apparecchio a compartimenti stagni, secondo l'uno o l'altro filone di pensiero spesso ci si trova di fronte a gradite (o amare sorprese). E' comunque sempre un errore utilizzare soltanto le misure o solamente l'ascolto per giudicare un oggetto.

    Campo difficile l'Hi Fi e improbo il compito del recensore coscenzioso, chiamato a uno dei compiti più difficili che ci possano essere: dar corpo alla personalità di un apparecchio, fornire una perfetta sintesi tra le due istanze, raccontare quell'"anima" che nessuna misura mai potrà descriverci.

    Misure e ascolti: in definitiva due ambiti molto diversi, ma imprescindibili se si vuole dare un'immagine completa di quello che si stà valutando.

    Alfredo

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  3. Sono convinto che se non si ha l'idea di ciò che avviene in uno studio di registrazione, diventa impossibile valutare la qualità di un impianto con un disco mai ascoltato.
    Quando mi occupavo professionalmente di hi-fi, consigliavo a tutti di andare in giro con un loro disco di riferimento.
    Ci fu un tempo in cui qualche etichetta audiphile pubblicava la nota sul proprio impianto d'ascolto. In particolare, la dichiarazione dei monitor d'ascolto era fondamentale.
    L'acustica dell'ambiente dove si registra una grande orchestra sinfonica è pure importantissima.
    Ho sentito la stessa orchestra suonare in luoghi diversi con lo stesso programma e con la stessa direzione avendo, sempre, l'impressione di sentire suoni diversi. Non parliamo poi del cosiddetto "fronte" sonoro. Cambia l'ambiente e cambiano le riflessioni dei suoni e l'assorbimento delle noiosissime onde stazionarie.
    Le manipolazioni che si fanno poi in post produzione sono assolutamente critiche.
    Erano ancora più critiche ai tempi del vinile, quando si cercava di fare stare in due facciate una sinfonia completa: occorreva stringere i solchi e i primi a sparire erano i "bassi", che pigliavano troppo spazio. Ricordo timpani trasformati in tamburelli...
    A proposito dell'ambiente (non entro nell'argomento di quello d'ascolto) in cui si registra, soprattutto con la tecnica microfonica one point ricordo l'impegno della Sheffield Record quando registrò con Erich Leinsdorf dentro un grande studio di ripresa della MGM opportunamente trattato ed il meraviglioso esperimento che fece l'etichetta CrystalClear che produsse due dischi a incisione diretta con i Boston Pops diretti da un grande "innovatore" come Arthur Fiedler: le stesse musiche in due differenti sale da concerto. Si dimostrò quello che ho già detto all'inizio di questo mio scritto; i suoni erano completamente diversi.
    Tutto questo per dire che è molto arduo, a certi livelli di qualità, esprimere giudizi su un impianto se non si ha perfetta cognizione del materiale che si sta ascoltando in riproduzione.

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  4. Prima di tutto, io penso che nessuno possa dire di avere mai sentito in un impianto della musica simile a quella che si ascolta dal vivo. L'acustica del teatro, l'atmosfera, il piacere stesso di essere ad un concerto rende irripetibile l'esperienza. Per cui, a mio giudizio, di appassionato di musica ignorante di tecnologia, cercare la riproduzione dell'"evento originale" (quando questo è possibile) è velleitario. Non penso infatti, per fare un esempio, che un concerto di organo che si svolge in una chiesa possa essere riprodotto in una qualsiasi abitazione: non fosse altro per l'odore di incenso.

    Come ascoltiamo la musica? Secondo me la ascoltiamo come una "cartolina". Se vediamo una cartolina di Capri, non pensiamo mai di essere a Capri. Però è utile per vedere Capri, se ci si trova a Milano. E Capri ci ritorna in mente. Ma di Capri uno può amare la piazzetta, un altro i faraglioni, un altro ancora le pizzerie con la vista sul golfo di Napoli, oppure le viuzze strette. Insomma, ognuno di Capri vuole rivedere qualcosa.

    La mia "folgorazione" sulla strada dell'alta fedeltà avvenne quando ascoltai, molti anni fa, le Quad 63. Non avevo mai sentito nulla che riproducesse il timbro della voce umana in quel modo, e nonostante rappresentassero allora per me una spesa folle, le comprai (a rate). Sono legato a quel suono, e da esso non riesco più a staccarmi. Sono appassionato di lirica, di classica, di jazz e per gusto personale non amo ascoltare ad alto volume. Ma se io fossi un appassionato di hard rock, o se amassi ascoltare Bartok a tutto volume, siamo certi che gli stessi diffusori che io trovo inseparabili andrebbero bene? No, non ne sono sicuro.

    Io, da scienziato, ritengo che le misure sono molto importanti. E quando leggo che dei legnetti alterano il suono di un impianto sinceramente mi viene da ridere, e vorrei capire se questa alterazione si può percepire anche alla cieca. Vorrei che ci fossero dei parametri a dirmi cosa suona bene e cosa suona male, ma putroppo mi rendo conto che non ci sono, perché così come ad uno piace la pasta al dente, ad un altro può piacere scotta. E allo stesso modo può piacere un suono, o un altro.

    E allora, cosa vorrei dalle misure? Prima di tutto, da ignorante, vorrei capire se qualcosa è costruito male. Se è meno affidabile, se un accoppiamento non ha problemi. E poi sarebbe certo bello avere dei parametri oggettivi. Che non ci sono. Ma se ci fossero, a pensarci bene, finirebbe tutto il divertimento. Perché per me, alla fine, ascoltare la musica è un divertimento...

    Grazie Angelo,

    Roberto

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